LA STORIA
Gli Atti del Martirio raccontano la storia di Agata, giovane catanese che subì il martirio al tempo dell’Imperatore Decio (249-251). Tutti i cittadini romani erano obbligati a recarsi ai templi ed effettuare un sacrificio agli dei. Molti furono coloro che, rifiutando di sacrificare, furono imprigionati e torturati, ma in pochissimi casi si giunse al martirio.
Quello di Agata è sicuramente il caso più eclatante, una giovane appartenente all’aristocrazia cristiana di Catania, fatta arrestare dal proconsole Quinziano per il suo rifiuto di sottomettersi alla legge e per questo sottoposta ad una successione sempre più drammatica di torture. Iniziato il processo vero e proprio, Agata riaffermò con forza la propria fede, di fronte a tutte le minacce, con un dialogo che gli atti del martirio ci tramandano come un capolavoro di retorica, testimonianza della forza morale e della profonda fede della giovane.
Quinziano ordinò di dare inizio alle torture, sottoponendo la giovane all’eculeo e poi facendole strappare le mammelle, un supplizio che sarà legato indissolubilmente al nome di Agata, tanto da un punto di vista iconografico che devozionale. Riportata in carcere Agata ricevette la miracolosa visita di San Pietro che la guarì da tutte le sue ferite, ma il giorno successivo, riportata in giudizio venne condannata a morte tramite la pena della fornace: una fossa colma di carboni ardenti e cocci di vetro e vasi infranti. Durante l’esecuzione, tuttavia, un terremoto scosse Catania, provocando la fuga dei soldati romani e di Quinziano, mentre la martire fu riportata in carcere dove morì nella notte fra il 4 ed il 5 Febbraio del 251.
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I MIRACOLI
La devozione dei catanesi nei confronti della patrona ha radici profonde. La città, minacciata da calamità naturali quali terremoti e colate laviche, è stata più volte salvata dall’intervento della martire, a cominciare dal 252, quando una violenta eruzione dell’Etna venne fermata dal Velo. Secondo tradizione il Velo, che Agata indossava in quanto Vergine consacrata a Cristo, sarebbe stato originariamente bianco, colorandosi di rosso soltanto a seguito del martirio. Esso viene custodito all’interno di un prezioso reliquario del XIX secolo e per i catanesi rappresenta la salvezza contro i pericoli derivanti dal Vulcano.
La tradizione ricorda altri interventi della martire per fermare la lava: si va dall’eruzione del 1444, a seguito della quale nacque il villaggio di “Sant’Agata li Battiati”, a quella imponente del 1669 che giunse sino a Catania; a quella del 1886, che vide il Beato Cardinale Dusmet portare il sacro Velo in processione fino a Nicolosi.Altrettanto numerosi sono gli interventi di Agata in caso di terremoti, come quello del 4 febbraio 1169 o quello dell’11 gennaio del 1693 e del sisma del 28 dicembre nel 1908 che rase al suolo Messina.Anche la peste è stata debellata dalla martire Agata sia nel 1575, quando i catanesi portarono le reliquie per le vie della città, che nel 1743, quando l’epidemia di peste scoppiò a Messina, ma Catania rimase indenne e i cittadini eressero nell’odierna piazza dei Martiri una colonna con in cima la statua di Agata che schiaccia un serpente.
L’intercessione della Martire si è infine manifestata anche in occasioni di altri pericoli, come quando nel 1232 Federico II di Svevia, determinato a soffocare nel sangue la rivolta di Catania, decise invece di recedere dal suo intento dopo aver letto il celebre acrostico N.O.P.A.Q.U.I.E. (“Noli Offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est”); o ancora, quando nel maggio del 1357 la flotta di Artale Alagona, sbaragliò i nemici nel Golfo di Ognina e decise di rendere omaggio alla Patrona inserendo il monogramma “A” di Agata nello Stemma civico.