L’avvicendarsi di molteplici civiltà nel corso dei secoli rende Catania uno dei luoghi privilegiati nei quali la storia dei popoli del mar Mediterraneo può essere rivissuta attraverso i segni che il tempo non ha scalfito e che ha tramandato sino ai giorni nostri. Nell’itinerario consigliato, il bagaglio storico della città si arricchisce dei miti e delle leggende che popolano la tradizione catanese e ne contraddistinguono il patrimonio culturale.
L’itinerario consigliato varia a seconda della possibilità di muoversi al di fuori dell’area urbana con mezzi pubblici o propri. Per controllare la disponibilità di collegamenti tra la città di Catania e le mete consigliate nell’itinerario extra-urbano visitare la sezione “Catania e dintorni” presente nel sito.
Area urbana/Centro storico
- Piazza Università
- Fontana dell’Elefante
- Pozzo di Gammazita
- Fontana di Proserpina
- Street Art Silos
Area extra-urbana
- Faraglioni di Aci Trezza
- Statua di Aci e Galatea alla Villa Belvedere di Acireale
- Etna
- Castagno dei Cento Cavalli
Piazza Università
Piazza Università si trova lungo via Etnea, a pochi metri dal Duomo,ed è considerata una delle testimonianze più scenografiche dell’architettura barocca a Catania. Qui sfuggono spesso all’occhio del visitatore disattento i quattro candelabri barocchi che fanno da cornice ai maestosi palazzi dell’Università degli Studi di Catania, del Palazzo San Giuliano e del Comune di Catania e che raccontano le leggende della fanciulla Gammazita, dei fratelli Anapia e Anfinomo, del paladino Uzeta e di Cola Pesce.
Gammazita era il nome di una giovane fanciulla catanese presumibilmente vissuta attorno al 1280. Questa, già promessa sposa, pur di non cedere alle avances di un soldato francese, Droetto, preferì gettarsi in un pozzo nei pressi di Castello Ursino piuttosto che disonorare la sua promessa. Oggi quel pozzo riporta il suo nome, cioè “Pozzo di Gammazita”. La leggenda di questa fanciulla catanese richiama il conflitto degli isolani con il popolo francese conquistatore, che portò allo scoppio dei Vespri Siciliani il 30 Marzo del 1282. Pur di individuare il colpevole e in generale i francesi, si racconta che i siciliani chiedessero ai passanti di pronunciare la parola ciciri, in italiano “ceci”, ai passanti poiché essendo molto difficile da pronunciare gli permetteva di identificare gli stranieri.
I fratelli Anapia e Anfinomo, detti fratelli pii, erano due contadini che sorpresi da un’improvvisa eruzione dell’Etna, piuttosto che correre subito ai ripari decisero di salvare i propri genitori portandoli sulle spalle. Questa decisione ne rallentò drasticamente la fuga ma secondo la leggenda vuole la lava, una volta raggiunti i fuggitivi, si divise miracolosamente in due per poi ricongiungersi, lasciando l’intera famiglia incolume. Dai “fratelli pii” prendono il nome due hornitos, piccoli conetti di scorie saldate alti pochi metri, formatisi durante l’eruzione luglio del 1614 a quota 2550 s.l.m. dalle bocche eruttive dei Monti Deserti che si allineavano lungo una frattura del versante Nord-Est del vulcano. Probabilmente la leggenda ispirò anche Virgilio per il racconto della fuga di Enea e del salvataggio del padre dalle fiamme della città di Troia.
Uzeta o Uzeda era un paladino dalla nera armatura rossocrociata che, secondo la leggenda, sconfisse i due giganti saraceni Ursini, da cui forse deriva il nome del Castello Ursino. Le sue gesta, nonostante le umili origini del giovane, gli valsero la stima dell’imperatore Federico di Svevia che gli diede in sposa la figlia. La storia è opera del giornalista catanese Giuseppe Malfa che immaginò un giovane contadino che divenne cavaliere e, come tutte le storie a lieto fine, riuscì a sposare la figlia del re.
Cola Pesce è il protagonista di quella che probabilmente è la leggenda più conosciuta in Sicilia e presente in diverse varianti anche nel resto della penisola italica. Cola, abbreviazione di Nicola, doveva il suo soprannome “Pesce” alla sua incredibile abilità di sub che gli permetteva di raggiungere gli abissi più profondi e anche di trascorrervi del tempo. Il Re Federico II di Svevia, venuto a conoscenza della qualità del giovane, lo mise alla prova gettando prima una coppa e poi proprio la sua corona negli abissi e chiedendo che gli venissero restituite dopo averle recuperate. Cola Pesce senza timore alcuno si fiondò negli abissi e riportò i due oggetti del re, raccontandogli dell’incredibile meraviglia dei fondali siciliani. Incuriosito, il re lanciò il suo anello e Cola Pesce prontamente, ancora una volta, andò a recuperarlo. Stavolta però quanto descrisse al re era tutt’altro che piacevole; durante sua immersione infatti, egli scoprì che la Sicilia era poggiata su tre colonne: una a Capo Passero, una a Capo Lilibeo e una a Capo Peloro, proprio sotto Messina, e che, essendo questa colonna incrinata, vi era la possibilità che crollasse da un momento all’altro. Il re, allarmato, gli chiese di andare a controllare meglio, ma data la profondità e la stanchezza, Cola Pesce domandò un pugno di lenticchie da portare nei fondali: se le lenticchie fossero tornate a galla, Cola Pesce sarebbe morto. Cola Pesce si immerse e dopo qualche tempo le lenticchie riemersero. Secondo la leggenda, Cola Pesce non è morto ma, avendo visto che la colonna incrinata stava cedendo, si è sostituito ad essa ed è ancora lì a sostenere Messina e la Sicilia intera.Quando vi è un terremoto si dice che Cola, stanco di sostenere la colonna, cambia spalla generando il tremore della terra.
Fontana dell’elefante
La fontana dell’Elefante è una opera monumentale realizzata tra il 1735 e il 1737 dall’architetto Giovanni Battista Vaccarini e collocata al centro della Piazza del Duomo di Catania. Il suo elemento principale è una statua di basalto nero che raffigura un elefante, chiamato comunemente u Liotru, considerato il simbolo della città. La denominazione Liotru deriva da Eliodoro, un mago vissuto intorno al 725 d.C quando Catania era una provincia bizantina dell’Impero Romano d’Oriente. Eliodoro aspirava a diventare il vescovo di Catania ma non riuscendoci si affidò a a uno stregone, che gli insegnò le arti magiche e lo convertì al giudaismo. Si racconta che fu lui stesso a scolpire l’elefante con la lava dell’Etna dandogli poi vita grazie ai suoi poteri magici. La leggenda ha diverse varianti, ma la più accreditata vuole che egli girasse per la città in groppa all’elefante facendo scherzi e dispetti alla popolazione e che una volta fuggì a Costantinopoli in groppa al pachiderma.
Pozzo di Gammazita
Il pozzo di Gammazita, di origine medievale, si trova in Piazza Federico di Svevia, nei pressi del Castello Ursino, e prende il suo nome dall’omonima fanciulla di cui si racconta sopra.
Fontana di Proserpina
La fontana di Proserpina è una monumentale opera scultorea, realizzata nel 1904 che si erge di fianco alla stazione centrale di Catania. Il riferimento al mito greco di Proserpina, fu scelto sia per il collegamento all’isola, sia perché la dea è considerata simbolo di prosperità. Secondo il mito greco, la dea Proserpina, figlia della dea della fertilità Demetra, fu rapita, proprio in Sicilia, da Ade, dio degli inferi, il quale la costrinse a sposarlo e a regnare con lui sottoterra. Tuttavia, venendo incontro alle preghiere della disperata madre Demetra, Ade concesse alla moglie la possibilità di allontanarsi dagli inferi per un periodo annuale, corrispondente alle stagioni primaverili ed estive, dopo il quale tornava al suo fianco.
Street art silos
Potrebbe sembrare insolito includere un’opera contemporanea in questo itinerario, ma la ragione è principalmente che alcuni dei murales realizzati da artisti internazionali per riqualificare il porto di Catania fanno riferimento ai miti e alle leggende della città. In particolare, l’opera “La storia non scritta di Cola Pesce” di BO130 fa riferimento alla leggenda del giovane sub di cui scritto sopra, l’opera di Danilo Bucchi rappresenta il mito del minotauro, quella di MICROBO è dedicata a Scilla e Cariddi e, infine, quella del duo INTERESNI KAZKI rappresenta il Triskele, o Triscele, simbolo della Sicilia, e la fuga di Ulisse da Polifemo.
Faraglioni
Il piccolo arcipelago dei “Faraglioni” deriva da una primordiale attività sottomarina dell’Etna risalente a circa 500.000 anni fa. La leggenda narra che il Ciclope Polifemo, in preda alla collera per essere stato accecato da Ulisse, abbia scagliato dei grossi massi contro le sue navi, dando origine ai Faraglioni attualmente antistanti AciTrezza.
Statua di Aci e Galatea ad Acireale
Si narra che il medesimo Ciclope, accecato dall’ira a causa del suo amore non ricambiato per la ninfa Galatea, lanciò un enorme masso contro il pastore di cui ella era innamorata, Aci. Il dio Nettuno però trasformò il sangue di Aci in un fiume e la ninfa Galatea in schiuma d’onda affinché i due amanti potessero continuare a incontrarsi per sempre. In relazione a questa leggenda molti dei paesini situati vicino alla costa (Aci Castello, Aci Trezza, Acireale, ecc) hanno acquisito la denominazione di Aci per onorare questa leggenda antica e romantica. Il gruppo marmoreo che celebra Aci e Galatea si erge nella villa Belvedere di Acireale, che offre ai visitatori una vista mozzafiato sul mar Ionio.
Etna
Il vulcano Etna e le sue spettacolari eruzioni l’hanno reso un soggetto di grande interesse per la mitologia classica e le credenze popolari. Alcuni miti di origine greco-romana, raccontano, ad esempio, che il dio Eolo, re dei venti, imprigionò all’interno delle grotte e delle caverne del vulcano i venti del mondo, oppure che il gigante Tifone, figlio di Gea (Terra) e Tartaro, fu sconfitto da Zeus che lo schiacciò scaraventadogli contro l’Etna. Buona parte della mitologia, però, dipinge l’etna come fucina o di Efesto, Dio del fuoco e fabbro degli dei, o dei Ciclopi che forgiavano e saette usate dal dio Zeus. Altre leggende narrano che il castello di Re Artù sia situato sull’etna o che l’anima della regina Elisabetta d’Inghilterra risiede nell’Etna, a causa di un patto che lei fece col diavolo in cambio del suo aiuto per governare il regno. Infine, anche Sant’Agata, Patrona di Catania, trova collegamento in una leggenda legata al vulcano. Si narra che, quando l’Etna eruttò nel 252, il popolo catanese prese il velo della Santa, rimasto intatto dalle fiamme del suo martirio, e invocò il suo aiuto. Si dice che a seguito di ciò l’eruzione finì, mentre il velo divenne rosso sangue, e che per questo motivo, ancora oggi, i devoti invocano il suo nome contro il fuoco e i fulmini.
Castagno dei Cento Cavalli
Il Castagno dei Cento Cavalli è un albero di castagno plurimillenario, ubicato nel Parco dell’Etna in territorio del comune di Sant’Alfio (CT).Il castagno, considerato il più famoso e grande d’Italia, è oggetto di una leggenda che narra che una Regina, con al seguito cento cavalieri e dame fu sorpresa da un temporale, durante una battuta di caccia, nelle vicinanze dell’albero e proprio sotto i rami trovò riparo con tutto il numeroso seguito. Il temporale continuò fino a sera, così la regina passò sotto le fronde del castagno la notte in compagnia, si dice, di uno o più amanti fra i cavalieri al suo seguito. Non è chiaro però chi fosse la regina tra Giovanna d’Aragona , l’imperatrice Isabella d’Inghilterra, terza moglie di Federico II, e Giovanna I d’Angiò.